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Ciclismo, la maledizione di Roglic: lo sloveno saluta la Vuelta

Qualcuno avrà da obiettare pensando che l’ennesimo ritiro di Primoz Roglic sia solo frutto del caso o della sfortuna. Perché a furia di cadere lo sloveno rischia di veder sfumare obiettivi altrimenti a portata di mano, creandosi una sorta di etichetta propria di un eterno incompiuto. Lui che nel ciclismo che conta è arrivato tardi perché da giovane era un signor saltatore sugli sci, deciso a non mollare la presa fin quando non è arrivare a capire nel 2011 che nel suo futuro da atleta sarebbe stata la bici a farla da padrone. Ed è un paradosso pensare che uno abituato a saltare 100 metri da un trampolino finisca così spesso a terra, vedendo sfumare sul più bello obiettivi e traguardi inseguiti a forza di sudore e fatica. La Vuelta poi è una sorta di giardino di casa: le vittorie nette ottenute negli ultimi tre anni lo hanno consacrato a specialista delle corse a tappe, benché dannato per il fatto di non essere mai riuscito a vincere un altro dei grandi giri (quindi Tour o Giro) pur salendo in entrambi almeno una volta sul podio. La caduta (banale) sul traguardo di Tomars, quando con un’azione intelligente e potente stava rosicchiando secondi preziosi al leader della corsa Evenepoel, l’ha fatto ripiombare in un incubo, offrendolo in pasto al romanzo della bicicletta come uno dei corridori più “dannati” dell’anno corrente.

QUELLA BRUTTA SENSAZIONE DI PELLE BRUCIATA DALL’ASFALTO

Senza certe cadute, probabilmente il palmares dello sloveno oggi conterrebbe molti più trofei. Questa Vuelta rappresentava per lui la sfida più grande: due mesi fa una lussazione alla spalla, eredità di una brutta scivolata a inizio Tour, lo aveva costretto a ritirarsi dalla grand boucle, privando Vingegaard di un gregario di lusso. In Spagna però Roglic c’è voluto andare lo stesso e dopo una prima settimana difficile le cose stavano prendendo tutt’altra piega, tanto da aver dimezzato nelle ultime tre tappe gli oltre due minuti e mezzo di ritardo dalla vetta. Le cadute però rimangono una volta di più il suo tallone d’Achille: nel 2021, sempre al Tour, era rimasto coinvolto in un incidente a inizio corsa con Colbrelli, con conseguente ritiro. Addirittura a marzo del 2021, leader indiscusso della Parigi-Nizza, due cadute nell’ultima frazione gli costarono la vittoria finale (vinse Schachmann), aprendo una piccola crisi anche a livello psicologico, con le discese diventate per lui materia molto più complicata. A 33 anni da compiere il prossimo 29 ottobre, Roglic potrebbe aver perso un altro treno importante: nella sua mente rimane il chiodo fisso di conquistare un Giro o un Tour, ma la quarta Vuelta avrebbe avuto un sapore tutto particolare. Se n’è tornato a casa prima e con la sensazione brutta della pelle bruciata dall’asfalto. E stavolta il dolore più grande è nell’anima, anziché su braccia e gambe.

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